La prima persona e la giustificazione narrativa

Premessa: questo articolo è stato scritto di getto per mettere in ordine un po' di idee. Penso che qualcosa di sensato ci sia ma può essere che dei passaggi non tornino e comunque c'è ancora molto da ragionarvi. Quindi non prendetelo troppo sul serio.

 

Quando qualcuno vi racconta qualcosa, una questione è fondamentale: perchè ve la sta raccontando, e come?

Il perché e il come devono essere indipendentemente sensati rispetto al contesto.

Se non mi è chiaro il perché tu mi stia raccontando qualcosa, proverò magari imbarazzo, o noia, o mi continuerò a chiedere quando te ne andrai perché devo fare dell'altro.

Se non è adatto il come, effetti simili.

Infatti, il come e il perché sono in realtà facce diverse della stessa medaglia. Basti pensare che se io ti racconto qualcosa per un motivo molto specifico, il modo in cui te lo dico è quasi già determinato, e viceversa. Ovviamente la correlazione è approsimativa e più generale che altro, e funziona meglio quando le persone che parlano si conoscono bene.

Ora, un problema nasce quando si racconta una storia, sia essa in forma scritta, filmata o cantata: perché me lo stai raccontando? E di conseguenza, è giusto il come? Non è poi così importante quale domanda arrivi prima, perché sono in realtà la stessa domanda.

Fermiamoci sul perché.

La domanda a prima vista può sembrare stupida, ma non lo è affatto. Io personalmente non l'ho notata per lungo tempo mentre scrivevo, ma ora è la domanda più importante in assoluto nel momento in cui mi approccio a un libro, a un racconto, o a qualsiasi cosa che implichi una comunicazione.

C'è da fare una distinzione importante.

Una questione è il perché io stia scrivendo. Quello può essere per mille motivi: sfogo emotivo, ambizione artistica, aspirazione commerciale, più o meno qualsiasi cosa. Questo è poco importante.

La cosa importante è perché chi sta raccontando sta raccontando. Per spiegarmi meglio, se io voglia fare un libro poco è importante, ma il libro dovrà avere un narratore. Il perché il narratore voglia raccontare la storia è forse la cosa più fondamentale dell'intero libro.

Questo perché nel momento in cui leggo una storia, se sento che la storia non ha un vero motivo, o è impostata in modo che io senta che mi stia venendo forzata contro, non c'è buona scrittura che tenga; l'inganno è rotto e il mio spazio è violato. E' come uno sconosciuto che mi racconta una storia di cui non mi frega nulla e che insiste perché io la ascolti. La storia deve essere giustificata, e non solo la storia, anche il modo in cui viene raccontata. Chi legge (o ascolta, o vede) deve avere la percezione che ci sia un motivo valido per cui qualcuno gliela voglia far vedere e che gliela voglia far vedere in quel modo preciso.

Per esempio, quando scrivo le domande più importanti in assoluto, che impiegano mesi e numerosi tentativi prima di trovare risposta, sono:

  • Chi sta raccontando la storia? (è più difficile del previsto se è in terza persona)
  • Perché la sta raccontando?
  • Perché io (autore) ho deciso di trascrivere la sua storia? (ovvero, perché ho trovato giustificabile il suo racconto)

L'ultimo punto può essere riformulato in infiniti modi. Una buona analogia è questa: nel regno ideale delle "storie" ci sono miliardi di possibili storie differenti, ognuna raccontata in miliardi di possibili storie differenti. Io "autore" mi sono imbattuto in una storia, raccontata da uno sconosciuto. Perché ho deciso di trascriverla? Solo perché era la prima che passava? In questo caso, è solo la voce di un passante esagitato che vuole narrarci la sua autobiografia romantica di cui non ci interessa assolutamente nulla e del quale percepiamo la necessità di attenzione egoistica.

Se invece quella storia è una storia che sentiamo che sia giusto che venga raccontata, ecco che possiamo raccoglierla. Sarebbe bello se si trattasse solo di raccogliere; si tratta più in realtà di modellare, partendo dalla percezione che questa storia ci sia, e modificando pian piano quello che abbiamo tra le mani fino a raggiungerla.

Una buona storia, per dirla in modo semplice, deve essere giustificata. Altrimenti dà sui nervi. La giustificazione non è minimamente legata al significato, morale o messaggio che la storia porta con sé. Per nulla. E' per lo più legata alla coerenza del racconto e alla genuinità della voglia di trasmettere una storia o un racconto.

La prima e la terza persona

Fin'ora ho pubblicato solo romanzi in terza persona. "La Festa" è un po' un'eccezione e in generale rappresenta un caso a parte, ma "La grande gara" e "La città" sono i primi esempi che mi hanno obbligato a ragionare molto sull'argomento. Nella terza persona si aggiunge sempre un personaggio, che forse è il più importante: il narratore.

E' chiaro che il narratore posso essere io (Paolo Casarini), ma in quel caso devo essere io ad avere un motivo valido per raccontare la storia, o per lo meno raccontarla in modo che paia valido agli altri (quando si parla di validità si intende sempre all'interno della finzione narrativa). Se il narratore è un altro, egli deve avere un motivo per scrivere, e il perché porta con sé il come.

Ne "La grande gara" il narratore conosce i posti, i personaggi e chiaramente ha avuto a che fare con loro in qualche modo. Il suo perché è chiaramente legato al come: tenta, quando possibile, di mantenere una narrazione distaccata nonostante si capisca che lui così tanto distaccato non è. Questa sua scelta mostra il suo pensiero sulla storia e la forza con cui aveva la necessità di raccontarla. Ne "La città", invece, il narratore è quasi totalmente distaccato. Non si capisce neanche se sia una persona, una pianta, o un luogo. A tratti sembra quasi prendere in giro chi legge. La sua giustificazione pare un continuo distorcere l'attenzione dei passanti. A malapena vuole raccontare.

Questi poi sono viaggi che mi faccio io e che possono anche essere sbagliati se uno la legge in modo diverso, ma è per dire il ragionamento che mi accompagna nella scrittura.

Ora sto lavorando a un nuovo romanzo, il cui titolo temporanea è "Un viaggio". A differenza degli altri, è in prima persona. La scelta è stata volutamente per provare a fare qualcosa di diverso e vedere cosa sarebbe successo.

La prima cosa che ho notato è stato il cambiamento di approccio nella giustificazione narrativa. Perché se nella terza persona la giustificazione sta tutta attorno alla scelta del narratore e del motivo per cui narra, nella prima persona tutto si mischia. Il narratore è il protagonista, è l'autore ed è colui che decide in modo attivo di raccontare la sua storia.

Il primo punto è che la narrazione è autogiustificata. Lui decide di raccontare la storia perché il personaggio vuole. Basta coprire narrativamente il suo bisogno di raccontare una storia, e la logica torna. Se lui è un egoista megalomane, può anche fare la proprio autobiografia. (È difficile che lo sia il narratore in terza persona, altrimenti perché starebbe raccontando la storia di un altro?)

Quello che non è autogiustificato è il modo in cui la racconta. Questo è autogiustificato nella terza persona. Quello che intendo è: ha senso che una persona (terza) racconti quello che lui (narratore terzo) sta raccontando nel modo in cui lo sta raccontando? La risposta è sempre sì, perché è il modo in cui io (Paolo Casarini) la sto raccontando, quindi di fatto la possibilità è reale, e quindi realistica (per quanto possa fare schifo).

Nella prima persona non è così detto. Uno potrebbe fare un gioco simile: qualsiasi modo in cui lo scrivo è autogiustificato perché è il modo in cui lo sto scrivendo io (Paolo Casarini) e quindi è realistico. Però in realtà non è così, perché io (Paolo Casarini) non posso coincidere con l'io narratore-protagonista della prima persona, tranne il caso eccezionale dell'autobiografia. Quindi non è più vero che qualsiasi modo di raccontarlo è valido.

Il punto si sposta nel capire come l'io narratore-protagonista possa raccontare la sua storia in un modo che sia credibile per lui. Rimane comunque attivo il motivo del perché, che si sposta sulla mia (di Paolo Casarini) scelta di raccontare la sua (del narratore-protagonista) storia. Questo deve essere perché la sua mi ha in qualche modo convinto della genuinità del racconto. Ma è chiaro che sono io a scriverla, quindi devo autoconvincermi.

La differenza tra prima e terza persona nell'ambito della giustificazione narrativa sta quindi nel fatto che:

  • Nella terza persona è autogiustificato il come, ma non il perché, che si traduce con la difficoltà nell'identificare il narratore e il suo rapporto con la storia;
  • Nella prima persona è autogiustificato il perché (banalmente uno può pensarla che se non ci fosse un perché non ci sarebbe la storia, essendo raccontata dal protagonista, e quindi anche se non lo conosciamo ci deve essere per forza), ma non il come, che si traduce con la difficoltà nell'identificare il tono della narrazione e il suo rapporto (origine e conflitto) con la storia.

Tutto questo per dire che nel cambio di persona sto trovando dei ragionamenti nuovi che rendono le vecchie tecniche non adeguate e rappresentano un'ulteriore sfida. La primissima bozza è già pronta ma richiederà come minimo una riscrittura totale perché ora è davvero troppo debole. Non è realistico. L'io-narratore è ambiguo, incoerente e il suo perché non è veramente realizzato nel come.

Comunque continuerò a lavorarci.

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