Il mondo degli altri

Quando nasciamo siamo all'interno di un mondo. Intanto un mondo fisico, inteso come arena nel quale ci muoviamo e in quali sono valide una serie di leggi fisiche che possiamo più o meno conoscere, ma che valgono in ogni caso.

Oltre a questo, però, viviamo in un altro mondo, definibile in vari modi, ma in pratica un mondo sociale. Con ciò non intendo parlare della "società" (qualunque cosa sia) intesa come fenomeno globale, ma piuttosto su in che modo una persona singola si ritrovi all'interno di un mondo dove sono presenti una serie di regole, più o meno precise, ma che si differenziano dalle regole fisiche per la caratteristica che non per forza devono valere in ogni caso.

Piccola digressione: a livello statistico e biologico-evolutivo, anche questo mondo è in gran parte predeterminato e altamente prevedibile, ma non intendo dire che non lo sia, quanto più focalizzarmi sull'esperienza del singolo in questo sistema e anzi il suo approccio proprio verso questo schema predeterminato, di fatto.

Circondato da un mondo fisico, il singolo ne impara le regole e vi si adatta. Se tocco il fuoco mi brucio, se sbaglio a saltare mi faccio male, se mi bagno avrò freddo. Dall'osservazione e dall'insegnamento comprendiamo il mondo fisico che ci circonda e il nostro giusto comportamento in esso.

Allo stesso modo, comprendiamo quello "sociale" (uso questa parola in mancanza di altre). Spesso non facciamo la scelta di comprenderlo o meno. La sua comprensione può essere innata e inconsapevole o fondamentalmente logica anche per chi inconsapevolmente non fa nulla. Non c'è nulla di sbagliato in questo, e dal punto di vista evolutivo ha senso; oltre a questo, il sistema ormonale nel nostro corpo è ottimizzato per esistere in un preciso tipo di società nel quale si è evoluto. Non stupisce quindi che una socialità "tangibile" esista e che si "debba imparare".

Tralasciando le discussioni generali, scendiamo sull'esperienza del singolo. Nel modo di vivere, per chi comincerà a farsi domande sul mondo, apparirà inizialmente un mondo sostanzialmente predeterminato, con regole fissate da seguire e con comportamenti adatti a queste regole. Per il singolo, che non ha la visione globale e certo non sta a fare analisi statistiche o scientifiche sull'intera umanità, la regola è semplice: la regola è quello che fanno tutti. Tutti, o la maggioranza. Se tutti fanno una cosa in un modo, quella diventa la "regola sociale", al pari quasi di una legge fisica, in quanto di fatto cambiarla da soli è sostanzialmente impossibile. L'unico modo è adattarsi.

E fin qua, ancora tutto bene. Non è di per sé sbagliato (nulla che dirò sarà di per sé sbagliato in senso assoluto, ma solo possibilmente dannoso o sconveniente per il singolo a livello personale), ma porta a una conseguenza ovvia: noi intendiamo il mondo come "Il mondo degli altri", sia che ne siamo consapevoli o meno. Il mondo sociale è determinato "dagli altri"; dai loro comportamenti, dalle loro reazioni, dai loro schemi. Se tutti escono la sera, difficilmente potremmo uscire in un altro momento, se tutti fanno una cosa in un determinato modo, difficilmente potremmo farla in modo diverso. Che sia possibile è ovvio, ma è complicato trovare qualcun altro con cui farlo, e soprattutto: va contro le regole del "mondo degli altri", il mondo col quale ci siamo sempre confrontati col dire cosa è giusto e cosa è sbagliato, non in senso etico o assoluto, ma cosa ci può fare bene socialmentecosa no, nel senso cosa ci porterà ai nostri obiettivi sociali (di relazione, posizione nel gruppo o altro) e cosa no.

Il problema nasce quando "Il mondo degli altri" non coincide col nostro. O meglio, il nostro "modo di vivere" non si incastra bene ne "Il mondo degli altri", che nonostante il nome di fatto è per tutti "il mondo degli altri", e quindi è un po' il mondo di tutti e di nessuno (tale è la bellezza dei grandi numeri e della statistica).

Quello che intendo è: cosa fare quando ci si accorge di essere "fuori luogo"? Di sentire che non si è naturalmente fatti per incastrarsi bene nel "mondo degli altri?". Ci sono possibili reazioni, immagino. Una di queste, logica, è di interpretare il mondo degli altri. Se è possibile analizzare il mondo fisico fino a descriverne il comportamento dei quark, sarà possibile, in linea teorica, analizzare il mondo sociale fino a saperne i minimi dettagli. A quel punto, una volta che le regole saranno chiare, basterà imparare a giocare, seguirle, e conseguentemente vincerle.

Il problema di questa logica è che seguire la logica non fa parte del mondo degli altri. Questa strategia, per quanto sensata, è in realtà contraddittoria: cerca di analizzare e sfruttare le regole del mondo degli altri con una pratica che va totalmente contro il mondo degli altri e al comportamento di chi, nel mondo degli altri, si trova bene. E quindi il successo è illusorio e la logica fallace, e, nonostante possa a tratti funzionare, sul lungo termine è destinata al fallimento, o meglio è destinata a rimanere nella stessa posizione di partenza o a peggiorare.

Cosa fare, allora? Un primo step nasce nel riconoscimento del "mondo degli altri". Perché se un "mondo di tutti" inevitabilmente ci include e ci rende inadatti, il "mondo degli altri" ci lascia noi stessi e ci mette in prospettiva con qualcosa di esterno e di non determinato in modo assoluto. Se è "degli altri" non è "di tutti" e soprattutto non è "dell'universo". E' "degli altri". E quindi, conseguentemente, esiste un "mio mondo".

Riconoscere la differenza, che può assumere infinite sfumature, può essere il primo passo per rompere la contraddizione e decidere il da farsi. La questione si traduce in quanto si voglia imporre il proprio mondo su quello degli altri, e l'equilibrio è ciò che ognuno deve trovare. Ma sensa la consapevolezza di questa differenza non si può che trovarsi disillusi, fuori luogo, confusi e frustrati, come un pezzo di puzzle che non trova il suo incastro, ma che eppure dovrebbe essere lì (analogia banale ma efficace).

Poi non lo so, magari non vuol dire niente.

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